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Accuracy Talks Straight IT #1 – Five questions to…

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INTERVISTA A STEFANIA EMANUELE, JOINT HEAD OF ITALY DI PRADERA

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Iniziamo da voi, puoi darci una breve descrizione di Pradera?

Pradera è una società di investimenti immobiliari a destinazione retail di respiro internazionale, con un portfolio di circa 3,4 miliardi di Euro distribuito nel continente europeo tra Regno Unito, Germania, Polonia, Francia, Spagna e Turchia, solo per citare i principali paesi. Uscita dal mercato cinese con la cessione di beni per 1,2 miliardi di Euro, Pradera sta proseguendo con i suoi progetti di sviluppo in altre aree geografiche e, proprio nell’ultimo periodo, sta lavorando su un importante mandato tramite una joint venture (Pradera Vindico) con un partner locale, espandendosi nel Middle East ed in particolare negli Emirati Arabi.

Pradera è storicamente associato ai retail park come prodotto core nel suo portafoglio immobiliare. In Italia, però, dopo la cessione del Meraville di Bologna, i suoi parchi commerciali sono rimasti tre: a Catania, Bari e in provincia di Lodi a San Rocco al Porto.

Com’è cambiata la strategia di sviluppo dopo la pandemia e soprattutto a fronte della crisi economica che stiamo vivendo?

La strategia di sviluppo in Italia non è particolarmente diversa da quella degli ultimi anni: vogliamo rappresentare per il mercato un punto di riferimento nei centri commerciali e nei retail park, essere uno degli attori più importanti per fornire servizi di asset management (con anche riscossione affitti, parte tecnica, leasing) a investitori terzi, che non conoscono bene le dinamiche locali.

Pradera da sempre persegue ciò in due maniere: investendo direttamente con fondi propri, gestiti dalla casa madre, oppure per conto terzi individuando player con cui sviluppare partnership.

Negli ultimi 12-18 mesi, abbiamo studiato qual è il modo migliore per facilitare gli investimenti che già esistono e per attrarre nuovi capitali, visto che il mercato dei centri commerciali in Italia non è proprio il più attrattivo in questo momento. La soluzione migliore è stata quella di costituire un veicolo finanziario caratterizzato da una struttura fiscale ottimizzata: ecco perché la scelta della Sicaf – Pradera Real Estate Investment Sicaf SpA, approvata da Banca d’Italia, detenuta al 92% da Pradera Management Italy e per il residuo 8% dal fondo americano di investimento Crestline Investors Inc.

Siamo già operativi: abbiamo attratto in Italia un investitore nuovo per il nostro paese, Crestline Investment Inc, acquisendo due centri commerciali, uno nel Sud, a Montenero di Bisaccia, l’altro nel Nord, a Vigevano.

L’idea è quella di replicare la struttura per accogliere nuovi investimenti, non limitatamente a centri e parchi commerciali, ma anche portafogli, principalmente appartenenti alla GDO sales and lease back che negli ultimi tempi si stanno dimostrando essere target interessanti per investitori stranieri più core.

A proposito degli acquisti da fondi giunti a maturity, qual è l’efficacia nell’utilizzo delle polizze Warranty & Indemnity (W&I) in tale circostanza?

La polizza assicurativa W&I è uno strumento strategico che permette di trasferire al mercato assicurativo il rischio connesso alle potenziali future perdite economiche derivanti da un evento che ha generato una violazione delle dichiarazioni e garanzie (reps & warranties) del soggetto venditore, contenute all’interno del contratto di compravendita – nel caso in discussione, il fondo giunto a maturity.

Confermo che la W&I è stata oggetto di attenzione anche in Italia in tempi non lontani per garantire la chiusura dei fondi senza che rimanessero pendenze legate a garanzie, che, come sappiamo, nel nostro paese sono vincolate a scadenze di legge non sempre brevi, una per tutte i tempi di decadenza degli accertamenti fiscali.

Qual è l’impatto dell’aumento dei tassi di interesse sugli investimenti nel real estate?

Purtroppo dopo una flebile ripresa post covid, oggi ci troviamo a fronteggiare una grave crisi economica che ha visto un aumento non solo dell’inflazione in molti Paesi Europei (con conseguente contrazione dei consumi), ma anche un aumento dei tassi manovrati dalle Banche Centrali nell’ambito della conduzione della politica monetaria. Gli ultimi quindici anni sono stati caratterizzati da una crescita dei prezzi piuttosto bassa. Gli stimoli monetari trasfusi nel sistema finanziario per fronteggiare la crisi da COVID-19, tuttavia, hanno avuto un impatto sulla richiesta di beni e servizi.

Nel settore immobiliare, l’innalzamento dei tassi di interesse si ripercuote negativamente sul costo del debito, rendendolo meno accessibile, o meglio meno attraente. Gli investitori, infatti, fanno spesso ricorso in parte al debito bancario per ottimizzare i rendimenti attesi. Il debito bancario dovrebbe essere meno costoso dell’equity e quindi ridurre i costi finanziari. Con l’aumentare dei tassi, purtroppo, questa riduzione è impercettibile.

La conseguenza è che i player interessati ad investire, dovendo garantire un rendimento minimo ai propri sottoscrittori, sono obbligati ad aumentare i cap rate. In questa situazione, domanda e offerta si scontrano e l’effetto è che negli ultimi anni le transazioni di immobili a destinazione retail hanno subito una forte contrazione perché la forbice tra prezzo atteso e prezzo offerto si è ampliata. In questa situazione, le poche transazioni interesseranno principalmente investitori che devono tassativamente affrontare un exit, avendo raggiunto maturity date.

A quanto sopra si aggiunge la persistente incertezza sulle tempistiche della ripresa economica che contraddistingue il nostro scenario macroeconomico, che richiede un maggior grado di prudenza da parte degli operatori italiani e stranieri coinvolti in operazioni di finanza straordinaria. Questo aspetto si concretizza nel ricorso a strutture alternative di garanzia che possano proteggere il valore dell’investimento contro potenziali rischi successivi alla chiusura dell’operazione.

Certo è che tali strumenti, che come anticipato si sono affacciati in Italia con il solito ritardo rispetto ai paesi anglosassoni, e che ad oggi hanno dei costi sostenibili, hanno ancora alcuni oneri e limiti quali la necessità di svolgere due diligence in connessione a tutte le potenziali Rep & Warranties e la mancata copertura di alcune indennità e garanzie come quelle fiscali. In particolare, il limite alle garanzie si manifesta in connessione con i contenziosi noti ma con incertezza nella realizzazione dell’evento, dell’ammontare e/o della eventuale data di sopravvenienza.

Nello scenario retail attuale vi sono alcune transazioni per cui i fondi in chiusura sono disposti a cedere a prezzi maggiormente scontati ma con la formula “visto e piaciuto”, non contemplando quindi l’onerosa attività di due diligence e con la concessione di limitate indennità e garanzie. In tali casi, come evidente, attivare una polizza W&I non è efficiente. Fortunatamente i player assicurativi stanno studiando nuovi strumenti più flessibili e focalizzati in modo da poter concedere una tutela anche in situazioni non standard.

In ambito immobiliare, nel Nord Italia, è stato notato che i prezzi al metro quadro di alcune asset class (residenziale, uffici, logistica) negli ultimi anni sono aumentati in modo più che proporzionale rispetto all’inflazione. Quali sono stati i risvolti nella stessa zona del mondo retail?

Purtroppo non c’è una grande connessione tra mondo retail e le altre asset class. Come ho accennato sopra, il retail ha subito una flessione molto importante. Solo alcuni Asset Prime (centri e parchi commerciali prime) hanno mantenuto il loro valore anche a fronte di una bassa domanda di mercato su tale privilegiata categoria.

In particolare, la bassa attrattività del mercato retail si sperimenta a causa: i) del persistere di contratti con tenants di lunga durata che non permettono ricontrattazioni al rialzo nel breve, ii) di una sempre maggiore competizione nel business dei centri commerciali, iii) di leggi amministrative regionali e locali che rendono complessa la gestione e la comprensione dell’investitore sugli oneri e vincoli e iv) spesso della mancata possibilità di ampliamento degli spazi.

I fattori appena elencati determinano nel breve una redditività dell’investimento molto bassa; per tale motivo, l’investimento nell’asset class retail risulta poco attrattiva per gli investitori opportunistici.Solo gli investitori “core” hanno effettivamente le competenze e soprattutto le tempistiche necessarie a rendere profittevoli ed interessanti per i loro sottoscrittori tali investimenti.

Ad oggi, tuttavia, si nota che gli investitori “core” si stanno concentrando principalmente, su asset class più “semplici” come gli asset logistici.

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